Ritratti sottovoce
Dietro a ogni ritratto che vedi c'è una storia, che io cerco di raccontare con i miei scatti: così Giambattista mi introduce le sue foto quando ci incontriamo per parlarne. In mostra abbiamo venti immagini, venti persone, venti aneddoti e altrettante ore di conversazione e click della fotocamera. Sono ritratti semplici, quelli di Giambattista: semplici nell'accezione più alta e positiva possibile. Minimalisti ed essenziali, si inseriscono nella linea della ritrattistica classica, alla Irving Penn, per intenderci: sfondo neutro, inquadratura che arriva a metà del busto, volto perfettamente illuminato. L'autore ha poi una sua peculiarità: fa indossare a tutti un dolcevita nero: un particolare assolutamente funzionale e in linea con il suo stile, che conferisce omogeneità e armonia alla serie fotografica.
Una composizione così basica porta il nostro sguardo a soffermarci immediatamente sui volti e sulle loro espressioni. Giambattista è molto abile nel mettere a proprio agio chi posa davanti al suo obiettivo, che si tratti di una modella professionista o meno. Ed ecco che ogni viso racconta sottovoce – da qui il titolo – un pezzetto della propria personalissima storia. Traspare la gioia esplosiva di alcuni, la malinconia tratteggiata di altri, la fatica di un periodo particolarmente difficile di qualcuno; e poi ancora la fierezza, la seduzione, l'introversione, la tranquillità. Tutte le sensazioni che portiamo con noi, come un bagaglio invisibile, emergono sulla superficie del volto quando il fotografo sa fare un buon lavoro ed è proprio questo il caso.
Davanti a uno sfondo anonimo e senza l'ausilio di oggetti, di trucco o di filtri che risulterebbero del tutto inutili per questo tipo di approccio alla fotografia, ogni soggetto è libero – per quanto guidato dall'autore – di far trasparire quanto e come si sente. La sessione di scatti è anche un momento per prendersi cura e tempo per sé, allontanarsi dalla frenesia e dalle preoccupazioni del quotidiano per recuperare una dimensione più intima e aperta verso sé stessi, regalandola al fotografo, capace di coglierla e di farne qualcosa di meraviglioso, rispettandone la fragilità e la delicatezza. In poche parole: sottovoce.
testo critico
Anna Mola