GIAMBATTISTA UBERTI
PHOTOGRAPHER

Solitude

Per parlare della storia di Solitude, Giambattista Uberti si è servito di un doppio canale linguistico: il fuori fuoco, utilizzato fino all’estremo dell’incomprensibilità del soggetto, che gli ha consentito di traslare nell’immagine il concetto di indefinitezza come equivalente della irriconoscibilità dell’epidermide causata dalla pratica autolesionistica di Solitude. Nel secondo “codice” adoperato, l’autore ha mantenuto una corretta messa a fuoco, soffermandosi sui dettagli del corpo, enucleando alcune zone e i rispettivi segni tracciati dalla ragazza con le lamette (“sempre nuove”, specifica lei). Su questi segni, in alcuni casi, ne sono stati sovrapposti altri, quelli di tatuaggi realizzati in seguito ai tagli, come a indicare un ulteriore strato che si aggiunge, copre, nasconde, trasforma.
(estratto dal testo critico di Loredana De Pace)
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